BRINDISI E PERFORMANCE ALLA GALLERIA CART



I visitatori della galleria sono stati accolti con spumante e panettone fino al 30 dicembre, giorno in cui  Roberto Cascone (con moglie e figli) ha  incontrato gli amici, fatto un intervento, anzi due,  mostrandoci in un altra cornice le due mostre in corso: la collettiva Oriente (Kusama, Kawamata, Araki, Cheng Gong, Wu Feng, T Yong Chung) e la personale di Giulia Berra.  


Visitors to the gallery are welcomed with champagne and cake until December 30, the day when I'll be there, with his wife and children, to meet friends and see the two exhibitions: the collective East (Kusama, Kawamata, Araki, Gong Cheng, Feng Wu, Chung Yong T) and the exhibitionsolo by Giulia Berra. 

Galleria Cart  Via Sirtori 7Monza, Italy












LA FATA MORGANA E LA SINDROME DELL'ARTISTA


Terme di Caracalla, via Valle delle Camene, Rome, Italy
mercoledì 28 dicembre 2011 - 1.00 fino a 13.00
Nel cuore della Roma antica, alle tende degli Indignati, presento un ciclo di workshop, aperto ad artisti e non, che si terrà nel 2012 in varie regioni d'Italia.

In ogni incontro i partecipanti, invitati a "pensare come artisti", produrranno idee che verranno poi donate ad artisti affermati (le opere eventualmente realizzate da questi ultimi dovranno riportare un courtesy ai donatori).
Sarà inoltre data attenzione alla psicologia dell'artista, in particolare alle motivazioni che lo sostengono nella ricerca, tanto alla luce della necessità di creare arte, quanto del bisogno di creare relazioni che diano senso all'opera. Un altro aspetto, infine, riguarderà i miti, gli abbagli e le distorsioni del sistema dell'arte, quella Fata Morgana che contribuisce a generare la Sindrome dell'artista, condizione ambivalente e paradossale di devianza che nutre sogni ed ambizioni.

In the heart of ancient Rome, Indignant of the tents, I present a series of workshops, open to artists and not to be held in 2012 in various regions of Italy.
In each meeting, the participants were invited to "think like artists," will produce ideas that will be donated to established artists (possibly made by these works will have to return a courtesy to donors).
It will also be given attention to the psychology of the artist, in particular the reasons supporting it in research, both in the light of the need to create art, because of the need to build relationships that give meaning to the work. Another aspect, then, will cover the myths, blunders and distortions of the art system, the Fata Morgana, which helps to create the artist's Syndrome, a condition ambivalent and paradoxical deviance that nurtures dreams and ambitions.


Roberto Cascone, con Barbara Martusciello e Paolo Di Pasquale

Roberto Cascone stories parte I – da Habermas a Mistika Zero



Reduce dal web-project agostano “Come creare un’opera d’arte inutile” e in procinto di iniziare una nuova “operazione artistica ” rigorosamente top secret, l’artista e giornalista napoletano Roberto Casconeracconta ad AII scena e retroscena di alcune azioni ludico-creative che dagli anni Novanta fino ad oggi lo hanno visto protagonista, accanto a personaggi come Maurizio Cattelan, Paolo Rossi, Piero Chiambretti, per fare qualche nome, dalle performances di Mistika Zero e delCattelan Funs Club, al tuffo nella psiche diArtherapy e alla poesia digitale delle sue Life forms. circa 25.000 immagini “pensate per il tessile e la ceramica, ispirate all’idea di forma e di vita, in particolare microscopica (virus e batteri)”.
Il tuo percorso artistico, ricco di esperienze eterogenee, sembra essersi svolto coerentemente all’insegna della “scienza delle soluzioni immaginarie”, la famosa Patafisica di Alfred Jarry. (se è vero) Come sei giunto a questo esito?
Credo che l’arte, per come la intendiamo oggi in Occidente, sia davvero una soluzione…immaginaria che gli artisti adottano come pratica che va oltre l’arte stessa, diventa questione di vita. Infatti se l’arte aiuta a vivere la vita “normale” , funziona ancora meglio negli stati di sofferenza psichica (certo dovremmo metterci d’accordo su cosa intendiamo per arte e per normalità).




R. Cascone, “Life Forms” Opera digitale, 2011.
R. Cascone, “Life Forms” Opera digitale, 2011.
Nella mia esperienza la pratica artistica ha sempre avuto funzioni lenitive, tant’è che fin bambino quando sono agitato se disegno mi tranquillizzo.
Disegnare e dipingere, inoltre, fin da allora è stato un modo per ottenere gratificazioni affettive, soprattutto da mio padre; in seguito per “maravigliare” e sedurre il pubblico. La pratica artistica, però, non è solo questo, anche se la molla può essere data dal bisogno di sublimare, riempire vuoti affettivi, ecc. In ogni caso alla fine quel che conta è il ruolo dell’artista, il suo agire comunicativo, per dirla con Habermas, che mette in atto una terapia dell‘essere che è anche collettiva e ha una forza “politica”. Ma così si crea un paradosso, perché il disturbo mentale (o sociale, o comunque esistenziale) che sta alla base del processo, alimenta ma può anche anche consumare quell’energia creativa che ha generato.

R. Cascone, “Building Virus“, 2002:" L'idea è della città come organismo vivente, che quindi si può ammalare. I lavori in corso sono le cure"
R. Cascone, “Building Virus“, 2002:" L'idea è della città come organismo vivente, che quindi si può ammalare. I lavori in corso sono le cure"
Nel mio caso sono nato nella tipica “famiglia schizofrenica” di Laing (l’anello debole del gruppo, mio fratello minore Massimo soffre di una psicosi maniaco depressiva psichiatrizzata), e pago ancora oggi tensioni che minano il mio equilibrio relazionale, quindi la vita sociale e il lavoro. Al punto che ho tentato di ribaltare il negativo in positivo, mettendo anche la famiglia al centro della mia poetica, e, prendendo spunto dalla realtà quotidiana, ho creato diverse soluzioni immaginarie, che definirei anche mascheramenti o schermi mistificatori. La fase più interessante comincia nel 1990, quando con la sigla Mistika Zero, organizzavo finti premi per segreterie telefoniche creative, o, come nelle gallerie della mostra milanese del ‘94 ispirata alla Chandelle Verte, ideavo una caccia al tesoro in cui si dovevano superare rebus ed enigmi, fino a che, per superare l’ultima prova, si realizzava un’opera che era anche il premio. Ricordo che alla Eos feci anche una lotteria patafisica i cui premi consentivano di “fare qualcosa con l’artista”.
Questo lavoro interattivo è importante perchè ho attivato diverse identità, anche devianti, come quella del maniaco che si sarebbe offerto al vincitore di un’opera a sorpresa contenente un manuale di educazione sessuale e due materassini gonfiabili. Per la cronaca il premio è stato vinto da un vecchio collezionista che per fortuna non ha preteso prestazioni di alcun genere… (continua)

Roberto Cascone

Roberto Cascone stories II – Cattelan Funs Club




R. Cascone,“The Two cities”, 2010. (Courtesy GiuseppeFrau Gallery, Gonnesa -CI)
R. Cascone,“The Two cities”, 2010. (Courtesy GiuseppeFrau Gallery, Gonnesa -CI)
Art In Italy chiede a Roberto Cascone di raccontare i prodromi di una delle sue più eclatanti invenzioni artistiche e poi gli sviluppi della propria propensione alla creazione di happening, situazioni, eventi.
Negli anni 90 tra le tue operazioni spicca senza dubbio il Cattelan Funs Club. Come è nata l’idea e qual è il tuo rapporto con Maurizio Cattelan?
Il Club, come accennato, nasce dal tentativo di superare difficoltà relazionali, ai limiti della fobia sociale. Quando Claudia Colasanti mi presentò Maurizio nel 1992, provai attrazione ma anche repulsione per lui. Fui gentile, ma lui, senza motivo, attaccò a fare battute su fatto che mi firmassi Mistika Zero (mi chiamava Mistiche Nutelle, un gruppo oggi sciolto). Cattelan dunque rappresentò subito un problema, creando in me invidia e simpatia, incarnando le mie difficoltà relazionali all’interno del sistema dell’arte. Le parole di uno dei massimi sostenitori economici del Club, il collezionista PierLuigi Mazzari, che un giorno mi rilasciò un’intervista in cui sosteneva che detestava Cattelan come persona almeno quanto lo amava come artista, spiegano bene il mio conflitto emotivo.

R. Cascone, L'incontro della madre di Cascone con Cattelan, da  “Cattelanews”, 1997.
R. Cascone, L'incontro della madre di Cascone con Cattelan, da “Cattelanews”, 1997.
Non potevo che trasformare il problema sublimando la rabbia in “amore fanatico”. Così, sempre nel ‘94, esposi  Omaggio a Maurizio Cattelan (il calco dei miei denti, argentati e fluttuanti in un cielo blu metallizzato), poi, a fine anno, progettai qualcosa che fosse virale, simbiotico ai limiti del parassitismo, giusto per lui al punto che non potesse sottrarsi all’operazione, ma che mi desse libertà di manovra. Funzionò. Infatti creò fraintendimenti e qualcuno arrivò a scambiarlo per una sua operazione. La cosa ci stava, ma Maurizio si infuriò al punto che, senza nemmeno voler sapere chi la pensava così (tra i tanti Giorgio Verzotti), mi ingiunse di scrivere sulla fanzine, Cattelanews, che considerava un cretino chi lo diceva.
Il Club, quindi, ha una matrice diciamo biografica e “terapeutica”, ma va inquadrato in un progetto più ampio, quello di RA First Agency, nata a sua volta dall’esperienza di Rentwork, agenzia di noleggio opere d’arte, e diArtplan, l’archivio delle idee. Col primo lavoro mi ero creato un’identità da promoter, mentre col secondo gestore di una banca dati alla quale chiunque poteva accedere purchè depositasse almeno un’idea della quale perdeva il copyright (una sorta di collettivizzazione dei progetti).
Il RA è composto dalle iniziali delle due operazioni, ma, come tutta la sigla, vuole ricordare e dare vita ad un fantasioso progetto di mio fratello, purtroppo arenatasi in un letto di contenzione. Egli nel 1985, convinto di essere la reincarnazione di Ammone RA, deciso a raccogliere fondi per un concerto per l’Africa, aprì, con tanto di partita IVA, l’Agenzia, arrivando a ricevere l’interessamento di vari potentati economici, tra cui Fiat, Fininvest, ecc.

Massimo Cascone interpreta il video “Comico a domicilio”. Arte x tutti, 1997.
Massimo Cascone interpreta il video “Comico a domicilio”. Arte x tutti, 1997.
Con l’Agenzia, che come molte attività nostre era a conduzione famigliare, collaboravano mia moglie Mari Iodice, e, occasionalmente, mia madre Maria Luisa, il vero “problema” di casa. Nel 1997, quando RA First (e quindi il CFC che era la nostra operazione di maggior successo), fece la mostra “Arte per tutti” con Loredana Parmesani, portammo oltre al Club, Lavori in corso (di cui parlo più avanti) e ilComico a domicilio, paghi solo se ridi, un video in cui mio fratello leggeva i titoli di alcuni miei racconti comici, mentre sul suo capo incombeva un quadro ad olio in misura reale che mi rappresenta a un anno di vita. Il video, che non ha niente di divertente, nonostante i racconti siano piaciuti a Paolo Rossi che li ha voluti per il suo show Scatafascio, fu gradito da Maurizio che mi fece i complimenti, quindi, conosciuta la mamma, staccò da una parete un’opera altri artisti e gliela diede a mò di fiore. Le foto le pubblicai subito sulla fanzine che testimonia un interesse e l’adesione di diverse centinaia di soci, a favore e persino contro Maurizio (sul lavoro del fachiro alla Biennale ho scritto un editoriale a favore e uno contro), anche perchè eravamo funs, e Maurizio divideva noi e il mondo, favorendo un’atmosfera di ambiguità dal sapore paradossale e non sense.
I nostri gadget memorabilia, per esempio, costano poco o niente, e non sempre sono falsi. La musicassetta con selezione rock curata amorevolmente da me, aperta e chiusa da Maurizio che recita: “Cascone, vieni qui (a casa sua ndr) che c’è una cosa per me e per te, che te l’allungo…”, è una chicca che si compra a soli 20 euro. Cifre modeste determinate da uno spirito nato dall’accordo con Maurizio che mi aveva concesso di fare il Club ma condizione che non ci guadagnassi troppo e che non gli creassi problemi. E così è stato. Per esempio tramite il nickname del Club, catelan@tiscali.it (richiamo al suo Catttelan con le 3 t. Conservo gelosamente la sua mail di complimenti per l’idea), si sono creati equivoci, come quello in cui la Goodman, per avere la conferma degli invitati, mi inviava la lista per il charter che durante la Biennale volava a Palermo per l’installazione Hollywood. Beh, avrei potuto alterarla, forse non se ne sarebbero accorti, ma i patti sono patti, no?

Come hai sviluppato negli anni la pratica dell’ Happening?
Mi ha sempre affascinato l’idea della contaminazione dei linguaggi, l’interdisciplinarietà.
Nel 1984, quando vivevo a Firenze ed ero un felice DJ di Controradio, andavano per la maggiore gruppi come i TuxedomoonWinston Tong, o iResidents, ma soprattutto i Magazzini Criminali, che tra video, musica e teatro lavoravano in maniera trasversale. Penso anche alla Fura del Baus, a come coinvolgeva il pubblico nell’evento…beh, l’happening per me era anche tutto questo, teatro, performance, installazione, coinvolgimento della gente (anche inconsapevole), ribaltamento dei ruoli…Il maestro, nella mia formazione, resta Kaprow, ma più in generale mi ha influenzato il pensiero Zen, Fluxus e naturalmente Andy Warhol, che è stato un genio per come ha fatto della propria vita un happening.
Diciamo che oltre a quanto detto, per me era ed è fondamentale la possibilità di creare “situazioni” funzionali al mio stato psicofisico. Di più: in relazione al gruppo sociale. L’happening, tra le altre cose, è un modo di coinvolgere gli altri, una miscellanea di azioni in cui mi muovo come regista, organizzatore, attore, giornalista, ideatore, performer, cercando, a seconda dei casi e delle situazioni, di far agire il pubblico che diventa così coprotagonista.
Faccio due brevi esempi. A Teramo, nel 1999, ho lavorato sull’identità del luogo della mostra, il castello della città, dove si svolgeva la collettiva alla quale ero stato invitato e ho installato all’esterno del cancello principale un banchetto da ritrattista di strada, esponendo un bel cartello nel quale invitavo il pubblico a “farmi il ritratto” (li avrei pagati, o meglio ha pagato l’organizzazione della mostra, 10 mila lire a disegno).
La cosa interessante è stata che molti, quando la invitavo a fermarsi, sgattaiaolava via adducendo scuse del tipo: “Non vengo bene”. Eppure la scritta era chiara e nemmeno quando insistevo spiegando che erano loro a dovermi fare il ritratto, dietro compenso, nemmeno allora leggevano correttamente. Ciò perché, come spiega la psicologia cognitiva, le implicazioni parassite, in altre parole i luoghi comuni, ci impediscono di vedere la realtà così com’è. Una cosa del genere è avvenuta sempre lo stesso anno a Napoli, dove per tre giorni ho girato per la città con un cerotto sulla bocca da mattina a sera. Qui il progetto era più articolato. Ero stato invitato ad una residenza per artisti dove sapevo che avrei dovuto convivere con persone alle quali, allora, non stavo molto simpatico, cosa che mi avrebbe mandato in ansia. A quel tempo quando andavo in ansia, in certe situazioni, parlavo troppo e diventavo pesante, creandomi così ulteriore ansia. Il cerotto sarebbe stato un alibi per non dover parlare; inoltre sarebbe stata la condizione perfetta per fare un’indagine sul silenzio e verificare se era vero, come scrivevaRepubblica, che i napoletani non sognavano più a causa del rumore di fondo della città. Per questo ho intervistato la gente comunicando a gesti e con un taccuino, fino ad individuare alcuni luoghi silenziosi dove ho potuto fotografare il “silenzio”. La cosa più curiosa era il modo di rispondere delle persone, qualcuno, non si sa perchè, anche in inglese… (continua)

Roberto Cascone

Roberto Cascone stories III – Media e Artherapy



R. Cascone, "Macchia della sicurezza", da "Artherapy", 2007: "Funziona per gli insicuri i quali, in un test di Rorschach al contrario, devono cercare di rivedere le cose che una persona sicura (e quindi “sana”) ha visto nella macchia"
R. Cascone, "Macchia della sicurezza", da "Artherapy", 2007: "Funziona per gli insicuri i quali, in un test di Rorschach al contrario, devono cercare di rivedere le cose che una persona sicura (e quindi “sana”) ha visto nella macchia"
La terza ed ultima tranche della serie di spot dedicati a Roberto Cascone indaga sul suo rapporto con i media e dello suo concetto di arte come terapia.
Come ti relazioni con i media?
Ho un rapporto scevro da pregiudizi. Ma in passato non era così. Quando militavo nell’area bolognese di Lotta Continua, nel 1977, il rapporto con i media era farcito di dietrologia, sospetti, “paranoie”. Soprattutto la TV, che incarnava un modello culturale americano, quindi da combattere, asservita alla classe dominante. Tutto ciò che riguardava i media era associato a mass-media, e quindi alla idea di “massa”, anonima e snaturata, piatta e monocorde, alla quale veniva contrapposto un modello di individualismo nel collettivismo, con la fine delle ideologie e l’avvento del post-moderno, ridotto al solo individualismo. E ciò quantunque la massa fosse strumento necessario alla Rivoluzione. Su questo punto gira una questione importante perchè gli artisti per loro natura, anche quando possano praticare arte pubblica, impregnata di socialità, al fondo sono individualisti se non egoicentrici, e tendono all’elitarismo. Il “sistema” dell’arte, oltre ad essere luogo poco democratico (più un artista ha successo, più ha occasione di esporre, mercato, ecc.), è un mondo che cerca la massima esclusività, tendenzialmente chiuso, iniziatico, come una setta in cui l’artista assume il ruolo carismatico del leader politico o dello sciamano. Parla a pochi eletti, e lavora, parlo di azione e di linguaggio, senza pensare al pubblico, a comunicare. Egli pensa soprattutto a se stesso, al massimo ai posteri, visto il tentativo di restare nella storia. L’arte, almeno nell’Occidente capitalista, è quindi un modo di vivere creato nell’eccellenza da menti originali prima di tutto per pochi. Per loro natura, imvece, i media, specie la tv generalista, si rivolgono alla massa, cercando l’audience e quindi abbassando la qualità del prodotto, sia del media che del messaggio. Come ho letto nel libro di Pier Luigi Tazzi ed Egidio Mucci, Il pubblico dell’arte, se l’arte diventa cosa di massa diventa Pippo Baudo.

R. Cascone, “Silence Dreams”, 1999 (courtesy Studio Morra, Napoli. Foto di Alberto Ruggiero)
R. Cascone, “Silence Dreams”, 1999 (courtesy Studio Morra, Napoli. Foto di Alberto Ruggiero)
E’ la TV che funziona al “ribasso”: se vuoi piacere al maggior numero possibile di persone sei tu che ti adatti a loro, ti uniformizzi, e non sono loro che si adattano a te. Direi quindi che l’arte, in questo senso, è la continuazione della pratica di controinformazione, di lotta politica al sistema che facevamo un tempo, e quindi non può andare d’accordo con i media. Recentemente ho rifiutato una diretta su un network radiofonico di Mediaset, cinque minuti di mattina, un’enormità di tempo, con ascolti di milioni di persone, perchè non ritenevo quel contesto idoneo a parlare di Artherapy. Curarsi con l’arte contemporanea, il mio libro. Il mio editore s’è incazzato molto, ma sapevo che non avrei avuto il controllo e avrebbero travisato il mio lavoro. Certo in passato sono andato in onda su varie radio e tv, da radio Popolare di Milano a MTV (con Cattelan, Koons, Mariko Mori ), dalla 7 (Invasioni barbariche, con Cavallucci e la Torri, esperienza penosa) a Markette, conChiambretti, ma alla fine storpiano sempre il senso di quello che fai, è inevitabile. Su MTV però mi hanno consentito di fare un vero e proprio show. Il programma era internazionale e bisognava parlare in inglese, sicchè, non conoscendo bene la lingua, mi sono fatto dare le domande prima, ho registrato le risposte, in inglese, e le ho ripodotte con un portatile che tenevo in mano, in una sorta di playback sfasato per il fuori sincrono tanto da sembrare Ghezzi a Fuoriorario. Anche nel film di Elena Del Drago, quello dove Maurizio Cattelan muore, ho avuto modo di essere me stesso, con tanto di collarino al collo a far da citazione della performance di Cattelan per la laurea ad honorem. Ma è più facile che le cose vengano distorte.
Nel ‘95, per esempio, Popolare ha mandato in onda un’intervista in occasione di Lavori in corso, evento nel quale intenzionavo (per dirla con Husserl) una dimensione estetica complessa in tre cantieri di Milano: l’area del Portello della Fiera, con i problemi pubblici allora noti; il cantiere nel cortile dell’Associazione ViaFarini (che simboleggiava il travaglio del mio rapporto umano con chi frequentava lo spazio e/o lo gestiva), e il bagno della mia casa-studio, dove i problemi la mia incapacità di trovare una soluzione, anche economica, al problema, aveva trascinato la ristrutturazione fino a rischiare il crollo del pavimento (infatti il giorno del vernissage una ragazza lo sfondò e finì con le gambe oltre il soffitto sottostante). Beh, a Popolare, tagliarono la parte d’intervista che riguardava i lavori del bagno, probabilmente perchè ritenuti meno interessanti per gli ascoltatori, mentre erano fondamentali per dare coerenza a tutta l’operazione. A proposito di Radio, a parte le fortunate esperienze con Radio Città e Città del capo, a Bologna, quando nel ‘93 presentai il premio per segreterie telefoniche creative col sostegno delle radio, appunto, tra il ‘95 e il ‘97 ho condotto, con Giuseppe Vicenzo Bondage, la trasmissione radiofonica di radio Onda d’urto, una performance interattiva che portammo alla Quadriennale di Roma, invitati da Cesare Pietroiusti, dove facemmo i giornalisti mascherati e i fotoreporter ciechi, performance nelle quali si ribaltavano ruoli e identità.


Roberto Cascone, Building Virus notturna (BV-N-101), anno 2002, 100x70 cm, stampa analogica su alluminio
Roberto Cascone, Building Virus notturna (BV-N-101), anno 2002, 100x70 cm, stampa analogica su alluminio
Ci parleresti del tuo libro “Artherapy. Curarsi con l’arte contemporanea”?
E’ un lavoro sulla funzione dell’arte che coniuga diverse esperienze e che trae ispirazione dal fatto che molti artisti sostengono di ricevere giovamento dalla pratica artistica, così come lo spettatore prova piacere e stimoli dalla fruizione dell’opera. In altre parole volevo verificare, con un taglio ironico ai limiti dell’umorismo (d’altronde non è forse di problemi di umore che afflitto il nevrotico? E poi credo che non ci sia niente di più sacro di una risata), se è vero che l’arte può curare o aiutare chi la fa, e, di conseguenza, se non solo la pratica, ma anche l’opera stessa ha questa funzione, perchè non farne conoscere i benefici? L’idea nasce nel 1999, ma la prima stesura è del 2001, poi, dopo un periodo di latenza, tra il 2004 e il 2007 ci ho lavorato a tempo pieno fino alla pubblicazione, con la collaborazione della psicologa Nadia Lenarduzzi. L’idea è quella di attribuire un plusvalore terapeutico ad un certo numero di opere, performance, azioni ecc. In 11 capitoli descrivo altrettante patologie più o meno gravi, sempre a livello di nevrosi, quindi associo i rimedi, prima descrivendo, in maniera anonima, le opere esistenti nel mondo, quindi fornendo una lista di esercizi, sempre mutuati dal mondo dell’arte. Ho lavorato sul contemporaneo a partire dai Dadaisti, ma senza citare gli autori perchè così la lettura diventa di per sè un viatico per allenare attenzione, memoria, concentrazione, tutte cose che calano quando si è afflitti da ansia o depressione. Chi è dell’arte può dunque divertirsi e migliorare individuando gli autori, mentre chi non lo è, se è interessato si darà da fare per acculturarsi. Per farlo uscirà di casa, andrà a mostre, musei, leggerà riviste, libri, frequenterà artisti, appassionati d’arte, insomma, svilupperà vita sociale. Il rimedio migliore contro la depressione…
La cosa divertente è stata che qualche artista che ha avuto il libro tra le mani, in mia presenza, saputo come è strutturato, è partito in quarta sfogliando con avidità fino a che non ha trovato la propria opera. Purtroppo nessuno di costoro aveva opere citate al riguardo, cosa che la dice lunga non solo sulla nostra vanità, ma anche sul fatto che il nostro cervello tende a vedere quello che vuol vedere. E’ un po’ come se il nostro computer interno avesse delle impostazioni che condizionano la sensorialità, dei file che con l’invecchiamento di danneggiano. Il guaio è che mentre col pc puoi formattare tutto e reinstallare, in natura la cosa è più dura da farsi.

Roberto Cascone